"Che caldo!", "Che freddo!".
Se l'estate è troppo calda desideriamo l'inverno e se l'inverno è troppo freddo desideriamo l'estate. Insomma, non siamo mai contenti. Cosa succederebbe se queste due stagioni si stufassero dei nostri lamenti? Se ci abbandonassero lasciandoci una lunga e interminabile fila di giornate tutte uguali, umide e tiepide?
C’era una volta un Caldo Infernale. Camminava per le strade e l’asfalto si piegava ai suoi piedi, i frammenti di carta abbandonati da passanti distratti prendevano fuoco e i gelati si scioglievano sulle mani dei bambini.
Era bruciante e bello come il sole, ma nessuno lo amava.
“È un caldo insopportabile!”, diceva qualcuno.
“È così terribilmente soffocante!”, sostenevano altri.
“Mi scotta persino la punta della lingua!”, si lamentavano in molti.
Caldo Infernale si presentava in città, tutti gli anni, più o meno nella seconda metà del mese di giugno. Camminava lentamente, dorato e nudo, e dalle sue mani emanava luce e calore, sperando di vedere salire un sorriso sui volti degli uomini.
Durante l’inverno, la stagione di Freddo Glaciale, li aveva sentiti lamentarsi.
“Moriremo congelati!”, dicevano.
“Questo freddo è agghiacciante!”, dichiaravano.
“Ma quando arriva l’estate?”, speravano.
E così, quando arrivava il suo turno, Caldo Infernale era certo che lo avrebbero acclamato.
Eppure, gli uomini, confortati dalle tiepide primavere, dimenticavano velocemente gli inverni e si preparavano ad accusare le estati, ogni anno.
Caldo Infernale e Freddo Glaciale non si incontravano mai. Avevano caratteri opposti e non volevano correre il rischio di litigare. Tuttavia, avevano in comune la stessa sorte: essere desiderati e, nello stesso tempo, odiati dagli uomini.
Un giorno, senza mettersi d’accordo, i due presero la stessa decisione e abbandonarono il loro posto nel flusso delle stagioni.
Agli uomini non rimase che una lunga interminabile fila di giornate identiche: tiepide e umide.
Inizialmente esultarono, non dovevano più difendersi dall'irruenza dell’estate e dell’inverno, ma poi, piano piano, divennero sempre più malinconici.
Era venuta a mancare la forza di quelle due stagioni così decise, quasi violente, e a loro pareva di non avere più niente di importante da attendere.
Gli uomini non erano gli unici a patire questa mancanza: i fiori di primavera crescevano tutto l’anno e non creavano più stupore, gli uccelli non avevano più bisogno di migrare e non riempivano più di battiti d’ali i tetti dei cieli autunnali, gli abeti persero il loro vigore e il loro profumo di resina non scaldava più il Natale.
Questa apparente stabilità senza sobbalzi non aveva niente a che vedere con l’armonia che tutti avrebbero desiderato.
Gli uomini capirono che Caldo Infernale e Freddo Glaciale erano necessari e si misero a chiamarli a gran voce.
“Freddo Glaciale! Riportaci il calore dei camini, il bianco sapore della neve, l’aroma dei biscotti nel forno, le sciarpe colorate, la vista dei comignoli fumanti dalle finestre appannate!”.
“Caldo Infernale! Torna! Vieni a scaldare i nostri respiri, a scottare le nostre spiagge, a farci riassaporare il ghiaccio sulle labbra e l’energia di un tuffo nel mare!”
Caldo Infernale e Freddo Glaciale erano ormai molto lontano, ognuno a un capo opposto del mondo, e non sentirono le voci degli uomini.
Una mattina, arrivarono a due spiagge, lontane ma simili, affollate di conchiglie. Entrambi raccolsero una conchiglia e, seguendo un gioco di bambini, la avvicinarono a un orecchio. Le conchiglie, anziché restituire il canto del mare, portavano le voci degli uomini.
Caldo Infernale e Freddo Glaciale si commossero, bagnando di bianca neve e rosse fiamme la sabbia ai loro piedi. Poi, senza mettersi d’accordo, tornarono ad occupare il proprio posto e le stagioni ripresero ad alternare il loro scorrere naturale, come era sempre stato.
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