Questo racconto di poche parole, un soffio di fiaba, è dedicato alle donne e agli uomini che seguono il proprio percorso, che non rimangono strizzati negli abiti che la società vuol farci indossare e non si curano di coloro che, nel vederli passare, scuotono la testa. Ecco la storia di Celeste detta anche la Matta, con la M maiuscola.
C’era una volta, nella città di Milano, una donna di foulard colorati, rossetti vivaci e calze spaiate. Si chiamava Celeste, ma in quartiere tutti la chiamavano La Matta, con la M maiuscola.
«Mio padre nacque al centro del lago di Como. Mia madre nella culla del lago di Garda. Io sulla punta di lingua di fata del lago Maggiore. Siamo una famiglia liquida di acqua dolce. Eppure, siamo cresciuti insieme a Milano e non credo sia un caso…».
Celeste si presentava sempre così, le sembrava una cosa molto importante.
Tutti, nel vederla passare, scuotevano la testa.
In un pomeriggio di piena estate Celeste attraversò le strade, calda come lo scirocco, si fermò nella piazza del quartiere e disse: «Ho avuto uomini con occhi di vento, di fumo, di ferro e di miele. Ho deciso che voglio un uomo pagano con occhi di fertile fango e lo troverò qui, a Milano. È in questa città che sorge sull’acqua, anche se ne mostra solo le ciglia, e sui canti dei celti che l’hanno creata, che io e lui ci incontreremo».
Srotolò sul selciato una coperta tessuta a mano. Vi aveva rappresentato un lago circondato da alberi nodosi e radici che affondavano in acqua, miriadi di sfumature di foglie e di verde e minuscoli uccelli, rossi e gialli.
«Ecco il mio codice d’amore! Affronterò Milano, avanti e indietro, in cerchi concentrici fino a quando non avrò trovato l’uomo dagli occhi di fango. Ogni volta che passerò di qui vi verrò a trovare e vi racconterò. Tenete pronto del tè!»
Tutti scossero la testa, ma Celeste partì lo stesso.
Per un anno esatto nessuno seppe più nulla di lei. Poi, come era partita tornò. Arrivò trascinando la sua lunga coperta, si fermò nella piazza e disse.
“Ho incontrato per terra il sogno di un bambino, quasi lo calpestavo. Era così bello! Lo immaginavo già grande, con le mani di suo padre. Avevo tanta voglia di raccoglierlo e così mi sono guardata intorno finché non ho riconosciuto un uomo che potesse andare bene, ma era un uomo di gesso e si sbriciolò in fretta. Il sogno di bambino rimase sull'asfalto. Mi ero sbagliata”.
Detto questo, bevve una tazza di tè, poi si girò e ripartì. Mentre tutti la guardarono scuotendo ancora la testa.
Passò un altro anno e Celeste tornò. Sventolava la sua coperta in aria, si appoggiò al platano della piazza e raccontò: «Ho conosciuto un vecchio con gli occhi bianchi di chi ha scalato montagne. Stava fermo ad un angolo di strada appoggiato al suo bastone e osservava. Mi serviva il conforto dell’infanzia. Ma fra le sue braccia non sono cresciuta neanche di un centimetro. Mi sono sbagliata ancora”.
Detto questo, bevve una tazza di tè, poi si girò e ripartì. Mentre tutti la guardarono scuotendo ancora la testa.
Passarono due anni e Celeste tornò. Questa volta la sua coperta la avvolgeva da capo a piedi, completamente. Si raggomitolò sulla panchina della piazza e disse: «Ho incontrato un uomo. Mi ha chiesto la mia coperta. Ho risposto che era mia e non l’avrebbe scaldato. Ognuno ha la sua coperta. Mi ha mostrato un cubo che teneva fra le mani, era trasparente e pieno di un fumo denso e nero. Mi ha strappato la coperta dalle mani e per tanto tempo non me l’ha restituita. Era un uomo dagli occhi d’amianto. Mi sono sbagliata anche questa volta».
Detto questo, bevve due tazze di tè, poi si girò e ripartì. Mentre tutti la guardarono scuotendo ancora e ancora la testa.
Passarono altri tre, quattro, cinque, sei, dieci anni e Celeste non tornò più.
Poi, un giorno mi arrivò un pacco. Dentro c’erano una lettera, la coperta di Celeste e una fotografia che la ritraeva con un uomo. Rimasi stupita, aveva veramente gli occhi di fertile fango. Sulla lettera c’era scritto, “Ci ho messo tanto, ma l’ho trovato. Sono diventata una donna quercia, alta e con le braccia rivolte al cielo”.
Scesi, camminai per le strade mostrando a tutti la coperta e mi diressi alla piazza, seguita da un corteo silenzioso. Stesi la coperta sulla panchina, appesi la lettera e la foto al platano della piazza. Tutti si avvicinarono e si fermarono a guardare. Nessuno scosse la testa.
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