“Il canto dello stagno”, una fiaba sul delicato rapporto dell’uomo con la natura, ma anche una fiaba che parla di incontri, di diversità e di paura. Secondo racconto della video/audio collana "Fiabe astratte". Fiaba scritta da Simona Platè, narrata da Simona Bogani. #soffiandofiabe #fiabeperbambini
C’era una volta uno stagno in collina. Rotondo come un viso aperto per lo stupore, circondato da una corona di pioppi e abbellito da una chioma dorata di avena selvatica, punteggiata di riflessi porpora dei fiori di cardo.
Lo stagno era un piccolo mondo antico, protetto e nascosto dall’uomo, dove vivevano in pace: rane, rospi, salamandre e bisce.
Sul pelo dell’acqua, fra le isole di ninfee, si muovevano leggere le farfalle e le libellule dello stagno.
Nei giorni di vento le foglie dei pioppi tremolavano intonando un canto, accompagnate dal gracidare delle rane e dei rospi. Per gli abitanti dello stagno e della collina erano momenti di festa.
In quell’angolo di mondo perfetto le giornate scorrevano in armonia con la natura e le sue stagioni; niente turbava quel meraviglioso equilibrio.
Poi, un giorno accadde un fatto insolito che creò un grande scompiglio fra gli abitanti della collina.
Proprio ai piedi del dolce promontorio, vicino a un boschetto di mandorli, c’era una vecchia casa abbandonata da così tanto tempo che nessuno si ricordava più dei suoi ultimi abitanti umani.
Il silenzio regnava nelle sue stanze ormai abitate solo da erbe, insetti e qualche volta da nidi di rondini, ma in un giorno di primavera la collina fu scossa dal rumore di un’auto che arrancava sul sentiero dissestato e si era fermata proprio davanti all’edificio mezzo diroccato.
Un uomo, carico di bagagli, entrò dalla porta aperta e iniziò a pulire alcune stanze e a svuotare le sue valigie.
Un mormorio di sgomento si diffuse ovunque e spostandosi da un filo d’erba all’altro e da una bocca all’altra arrivò fino allo stagno.
«Un uomo! È arrivato un uomo! Che disastro!», gridavano le formiche scuotendo le antenne.
«Cosa accadrà adesso? Povere noi!», si lamentavano le api sbattendo freneticamente le ali.
«Ci schiaccerà tutte!!!!», piangevano le lumache.
«Ci ucciderà per mangiarci?», si domandavano spaventati gli uccelli.
Nessuno di loro, in quel piccolo paradiso, aveva mai visto un uomo, però il vento aveva portato fino alla collina e allo stagno storie terribili provenienti da luoghi lontani. Da queste storie era evidente che la presenza anche di un solo essere umano significava disgrazia per tutta la natura e i suoi abitanti.
Il gran consiglio dei rospi organizzò un’assemblea e per tutta la notte ogni pianta, insetto o animale della collina pose domande ed espresse timori, ma nessuno proponeva una soluzione.
Come avrebbero potuto difendersi dall’uomo?
Come avrebbero potuto farlo scappare via?
Dovevano andarsene tutti e cercare un altro posto dove vivere?
Era ormai quasi l’alba quando la volpe più anziana parlò a nome del suo popolo e stabilì che sarebbero state le volpi a cacciarlo. Promise che lo avrebbero spaventato così tanto che entro sera l’uomo se ne sarebbe andato per non tornare più. Tutti le applaudirono per l’audacia, tutti erano d’accordo con la proposta fatta e così l’assemblea terminò.
Prima di lasciare andare le volpi il vento sussurrò: «Fate attenzione alle mani dell’uomo! Ho saputo che gli esseri umani hanno bastoni capaci di uccidervi, se non ha le mani vuote, scappate a zampe levate!», il vento non aggiunse, però, che le volpi erano fra i peggiori nemici dell’uomo: ne uccideva in gran quantità.
Poco dopo, la casa fu circondata da tutte le volpi della collina e dei boschi vicini e quando la volpe più anziana diede l’ordine, le altre iniziarono a ringhiare così forte da far tremare la terra; persino l’acqua dello stagno si increspò di onde.
Dopo circa mezz’ora, l’uomo aprì la porta, uscì, la richiuse e poi si appoggiò ad essa, chiuse gli occhi e si mise in ascolto: aveva le mani vuote.
Non fece nient’altro, non mosse un passo e neanche una mano, non aprì gli occhi e non se ne andò.
Due ore dopo, le volpi, ormai stanche di ringhiare e confuse dalla reazione dell’uomo, tornarono allo stagno sconfitte, ma vive.
Quella stessa notte il gran consiglio organizzò un’altra assemblea e questa volta, sempre all’alba, furono le api ad assumersi il compito di spaventare l’essere umano.
Si recarono alla casa, la circondarono e iniziarono a ronzare. Erano così tante che chiunque avrebbe tremato per la paura: le punture di quelle api sarebbero state mortali perfino per l’uomo più forte.
Anche questa volta l’umano ebbe una reazione inaspettata, molto diversa da quelle degli uomini dei racconti portati dal vento. Aprì una finestra, appoggiò i gomiti al davanzale, il viso alle mani aperte e rimase in silenzio ad ascoltare.
Dopo due ore, le api se ne andarono perplesse e mortificate dal loro fallimento tornarono allo stagno.
Durante la notte tutti gli abitanti della collina si ritrovarono di nuovo in assemblea e dopo altre preoccupazioni, dubbi e timori, all’alba le bisce d’acqua e di campo si assunsero il compito di impaurire l’umano, con i loro corpi viscidi e sinuosi.
Avete mai visto una casa circondata da un numero inimmaginabile di bisce? Chiunque scapperebbe! Quella mattina, il povero uomo si svegliò proprio con questa situazione. Aprì la porta e vide un contorto movimento di bisce che lo circondavano, sibilavano e ogni tanto scattavano come per mordergli i polpacci. Lui si comportò come le altre volte: restò in silenzio, chiuse gli occhi e non si mosse.
Anche le bisce dovettero quindi rinunciare, neanche loro erano riuscite a far scappare l’umano.
Passarono altre notti di assemblee e a turno molte specie di insetti e animali si offrirono di tentare di spaventare l’umano. Ci provarono i topi, i corvi e i ragni, ma l’uomo non cambiava i suoi atteggiamenti.
Come mai stava immobile senza paura?
Come mai non saltava sulla sua macchina e ritornava da dove era venuto lasciando solo una scia di fumo sul sentiero sconnesso?
Perché non li attaccava?
Nessuno sapeva dare risposte, neanche il vento che non aveva mai sentito parlare di un umano che si comportasse così.
Alla fine, il gran consiglio dei rospi decise di lasciare le cose come stavano e finché l’uomo non avesse accennato a dar fastidio a qualcuno poteva anche restare a vivere nella casa ai piedi della collina, senza più assedi.
Piano piano le paure si sciolsero e la vita tornò a scorrere armoniosa come prima.
Un giorno, le rane e i rospi, in accordo con le foglie dei pioppi e con il vento, organizzarono un altro pomeriggio di canti dello stagno.
Il canto fu così intenso che tutti gli abitanti della collina si accordarono con i suoni provenienti dallo stagno, dimenticandosi di quello che accadeva intorno a loro.
Era una melodia di pace che avvolgeva tutti unendoli come in un grande abbraccio.
Un canto così forte e vibrante che raggiunse anche la casa e dagli spiragli delle finestre arrivò alle orecchie e al cuore dell’uomo. Il richiamo della musica era così coinvolgente che l’uomo si alzò dalla sedia sulla quale era seduto, poi aprì la porta e seguì il sentiero che portava allo stagno.
Nessuno si accorse di lui, erano tutti presi dall’incantamento della musica e solo quando l’uomo raggiunse le sponde dello stagno e si sedette su una delle pietre della stretta spiaggia, una piccola rana lo vide e soprattutto vide che fra le mani dell’uomo c’era un bastone.
La piccola rana lanciò un gridò dall’allarme e immediatamente sulla collina piombò il silenzio.
Tutti guardarono intimoriti il bastone dell’uomo e anche le foglie dei pioppi smisero di vibrare perché il vento si era nascosto.
L’uomo capì che la sua presenza aveva creato sgomento. Rimase fermo per un po’, poi, molto lentamente avvicinò il piccolo bastone, che aveva fra le mani, alla sua bocca e vi soffiò dentro.
Le note di una musica incantata uscirono dal bastone dell’uomo e si sparsero sul pelo dell’acqua dello stagno e sui fili dorati dell’avena selvatica, diffondendosi ovunque, trasportate dalle ali delle libellule e dai petali dei fiori.
Alcune rane, sentendo le prime note che uscivano dal bastone dell’uomo non riuscirono a stare in silenzio e ripresero, un po’ timidamente, a gracidare.
Tutte le rane e i rospi si unirono al coro e anche il vento tornò a far vibrare le foglie dei pioppi.
Tutti loro, insieme al flauto dell’uomo, generarono un canto di una bellezza mai udita prima.
Il canto proseguì fino al tramonto del sole.
L’uomo non aveva mai suonato così bene il suo flauto, si sentiva felice e commosso per essere stato finalmente accettato dalla natura e dagli abitanti dello stagno e della collina, da molto tempo aspettava questo giorno.
A quel canto ne seguirono altri e altri ancora. Per molti anni, forse ancora adesso, gli abitanti dello stagno, della collina e l’uomo della casa vissero insieme in armonia, felici e contenti.
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